sabato 3 maggio 2014

Il cielo è "azzurro" sopra Cannes


Maggio è Cannes e beato chi ci va. Quest’anno, ci siamo anche noi, o almeno illudiamoci di questo, dato che stilando le famigerate liste di fine/inizio anno ci eravamo giocati una wild card sul nuovo film di Alice Rohrwacher. Carta ben giocata, visto che l’autrice, in gara nella selezione ufficiale del festival, concorrerà alla Palma d’Oro con il film Le meraviglie. Non lo abbiamo ancora visto, ma aspettando l’uscita in sala (22/05), scommettiamo volentieri su di lei. Nell’attesa avremo di che godere anche noi poveri squattrinati, costretti al caldo delle nostre sale cittadine e lontani anni luce dai fasti della Croisette di Cannes, perché finalmente maggio è tempo dedito al buon cinema. Troveremo in sala due film sui quali puntiamo molto come Alabama Monroe (8/05) e Solo gli amanti sopravvivono (15/08), ma ci saranno anche Maps to the stars di David Cronenberg (21/05) e grazie alla Cineteca di Bologna la versione restaurata di Chinatown di Roman Polanski (26/05). Buon maggio di cinema!




ALABAMA MONROE
The broken circle breakdown di Felix Van Groeningen. Un bluegrass movie sospeso tra le Fiandre e l'Appalachia, così sul numero di dicembre ci auguravamo l’uscita in sala di questo film. Eccoci accontentati da Alabama Monroe: l’opera che ha conteso e ceduto l’Oscar a La grande bellezza. Un film dalla voce roca e sofferente, come solo i grandi interpreti del country nordamericano sanno intonare. Un’opera che traendo forza dalla danza fumosa, scaturita dalle corde di una blugrass band fiamminga, ci racconta la struggente storia d’amore tra Elise e Didier. Una storia apparentemente come tante ma che, dall’incontro alla passione, attraverso il fascino della discussione domestica, trasforma l’esistenza di due semplici amanti in una lotta per la sopravvivenza animata dallo scontro tra fede e ragione. Rifuggendo ogni intenzione saggistica, nel suo narrare per immagini uno dei temi centrali del nostro tempo, Felix Van Groeningen ci proietta al cuore della questione con una forza sorprendentemente inattesa. Due attori straordinari per un musical “illuminista” che, alternando melodie struggenti alla follia rocambolesca tipica dei movimenti folk, si trascina nel cerchio ininterrotto dell’esistenza. WILL THE CIRCLE BE UNBROKEN, BYE AND BYE LORD…
 


SOLO GLI AMANTI SOPRAVVIVONO
L’ultima opera del cineasta americano Jim Jarmush racchiude in sé il senso dell’attesa, della lunga attesa dei cinefili italiani, un’implicita paziente richiesta, ricompensata con un film di rara bellezza, un film prezioso, nel quale il regista cult d’oltreoceano si esprime a livelli altissimi. La sciogliersi e il progredire della narrazione, o meglio di una non-narrazione, ci spinge tra le pieghe della romantica condizione esistenziale dei vampiri, specchio e metafora della solitudine – anche scelta – che investe coloro che oggi non vogliono allinearsi al Blocco del Capitale, nella decadenza dell‘Occidente degli anni 2000. Tra i quartieri fantasma di Detroit – pagina vergognosa della storia americana più recente – e nel loro buio desertificato dei lunghi viali, arancioni di lampioni, o nella Casbah di Tangeri – la notte araba del Mediterraneo - tra gli scuri vicoli del centro, carichi di odori speziati, Jim Jarmush ci accompagna all’interno di un viaggio, una composizione quasi pittorica di atmosfere oniriche, ricreando quella magia del cinema dove, stavolta, nulla importa, se non amare e restare vivi. ONLY LOVERS LEFT ALIVE


dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.22

mercoledì 2 aprile 2014

April come she will

Con la primavera arrivano finalmente in sala due film tra i più attesi della stagione. Il discusso e pruriginoso Nynphomaniac di Lars Von Trier, che uscirà suddiviso in due volumi, data la lunghezza dell’opera: la prima sarà in sala dal 3/04 e la seconda parte dal 24/04. E tra le due, il 10 aprile, farà il suo debutto anche l’atteso e brillante The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. Non avendoli visti mi sono affidato alle grazie turbolenti di Andrea Mincigrucci che, vivendo in Francia, spesso ha la fortuna di vedere i film con qualche mese di anticipo su di noi. In uscita il 10 aprile anche un piccolo ma importante lungometraggio che spero trovi la visibilità che merita, visto e considerato che, secondo il sottoscritto (László), è il film italiano più bello visto a Venezia 70: Piccola Patria di Alessandro Rossetto. Ne abbiamo già parlato, ne parleremo ancora. BUONA PRIMAVERA.



LARS VON TRIER
Nimph()maniac. Caliamo subito gli assi: la pornografia, che tanto interessa la stampa italiana, c’è! Ma, e qui la delusione del critico da rotocalco, si riduce al solo linguaggio, perché il film è tutt’altro. La trascendenza, la costruzione di significati esistenziali, che al film porno come genere manca, prende forma nel lavoro di Lars Von Trier. Tra immagini di rara potenza ed un certo verbosismo intellettualoide, Lars, togliendosi non pochi sassolini dalle scarpe, sempre nascosto dietro al Virgiliano personaggio di Stellan Skarsgård, declina una tipologia umana ed una sua possibile lettura. Descrive la concretizzazione esistenziale di un psiche, quella del ninfomane, muovendo in questo una critica al sistema valoriale che crea la pornografia: nominando e catalogandolo, relegandolo ai margini perversi del tessuto psichico e sociale il ruolo della donna. C’è una condanna al linguaggio edulcorato, smielato del politically correct, c’è l’affermazione libera del proprio essere, della propria personalità e della ribellione ad un sistema che vuole che ci impone di essere diversamente da come siamo o vogliamo essere. Il film può non piacere affatto, può essere disturbante ma allo stesso tempo, per chi avrà l’onestà di guardarselo tutto, e senza azionare facili filtri moralizzatori, sarà un’esperienza cinematografica e psicologica di rara potenza. Aspettate di vedere entrambe le parti prima di abbatterlo, condannarlo, vituperarlo o magari amarlo. MIO FRATELLO È FIGLIO UNICO PERCHÉ (...) NON HA MAI CRITICATO UN FILM SENZA MAI PRIMA VEDERLO.



WES ANDERSON
The Grand Budapest Hotel è il film che ha tutte le carte in regola per portare il pubblico in sale e divertirlo. Ha un regista, Wes Anderson, che è una garanzia nel genere (Fantastic Mr. Fox, Il treno per Darjeeling). Ha un cast d’eccezione che nel turbinio degli eventi appare e scompare per poi, forse, riapparire (Tilda Swindon, Bill Murray, Adrien Brody, Léa Seydoux e chi più ne ha più ne metta). Ha soprattutto una prova di regia geniale che gli è valsa un premio al Festival di Berlino. Gustav H. (Ralph Finnes) concierge del Grand Budapest Hotel e amante di tutte le sue vecchie e ricche clienti si tuffa in un’avventura rocambolesca insieme al suo lobby boy Zero Mustafa (Tony Revolori) e alla sua giovane fidanzata Agatha (Saoirse Ronan). L’omicidio di una ricchissima e anziana donna, un’enorme eredità, un preziosissimo quadro da nascondere e un testamento da recuperare, tutto questo all’ombra di una guerra imminente e di una feroce dittatura straniera. Storia banale e scontata? Immergetevi nell’avventura di The Grand Budapest Hotel, un divertimento veloce, coloratissimo, scanzonato e dissacrante, e poi ne riparleremo. TAKE YOURS HANDS OFF MY LOBBY BOY


dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.21

lunedì 24 febbraio 2014

Le lacrime di Mollica

E quando finirò sotto ai vostri occhi gli Oscars 2014 saranno già stati assegnati e molto probabilmente finiti nel dimenticatoio. Ma davanti a questo foglio, oggi, voglio divertirmi ed immaginare, come in una visione premonitrice, le lacrime di Vincenzo Mollica turbato e ferito per l'affronto, costretto a dichiarare guerra all'Academy durante il tg delle 20. Ahi che male! Quel premio negato, ferita mortale, non all'autore Sorrentino, ma ad un intero paese che sull'eccitazione della Grande Bellezza ha spedito al governo il Giovane Renzì. E' l'Oscar che salva! O meglio, che avrebbe dovuto salvare la jeunesse politique del rampante rampollo toscano, insignito di gloria e d'alloro insieme a tutte le belle facce dell'italico prodotto cinematografico. Salvare e glorificare. Cinema e paese. Gloria in excelsis Deo. Mentre Paolo Sorrentino, trionfante, si nomina ambasciatore del made in Italy e gira spot per Farinetti, Della Valle, Cucinelli. Gloria in excelsis Deo. Pontifex Franciscus lo nomina cardinale, per aver con umiltà smascherato i mali di Santa Romana Chiesa. Gloria in excelsis Deo. Per averci, con una sola pellicola, restituito il miglior Verdone, la miglior Ferilli, il felliniano racconto di Roma, la grandeur dei caratteristi del cinema, scorci e cartoline dell'eterna città dimenticata e per aver ricondotto lo smarrito cinema nazionalpopolare dove merita di stare. Accaduto o meno, Oscar vinto o derubato, come molto probabilmente racconteranno i cronisti a dovere imbeccati, voglio continuare a vivere questo ipotetico futuro e presuntuosamente annunciare oggi, 24 febbraio 2014, il mio insindacabile e immaginifico verdetto. Sperando di non offendere nessuno dichiaro: di rifiutare l'orribile pantomima del tifoso che sostiene le squadre italiane quando giocano nelle coppe e di augurarmi con tutto il cuore che la Grande Bellezza non vinca l'Oscar per il miglior film straniero.



Non prendetemi per stronzo, lo dico a ragion veduta. O meglio, lo dico dopo aver visto tre dei cinque film inseriti nella short list per il tanto agoniato premio che l'Academy assegnerà, o a questo punto ha già assegnato, domenica notte. Ne ho visti tre, i tre europei: Il sospetto (Jagten) di Thomas Vinterberg, Alabama Monroe (The broken circle breakdown) di Felix Van Groening e La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Non conosco gli altri due film in concorso, il cambogiano The missing picture di Rithy Panh e il palestinese Omar di Hany Abu-Assad, e non posso pertanto annunciare il mio vincitore, ma ciò che posso dire è che Vinterberg e Groening, nelle loro differenze stilistiche e narrative, hanno consegnato alla storia del cinema due piccole chicche. Due opere magistralmente scritte ed interpretate, due film che muovendosi su registri distinti indagano l'Uomo e la sua coscienza. Senza alcuna presunzione narrativa, nella semplicità di un racconto magistralmente redatto, cullano e turbano lo spettatore all'interno di un vortice emozionale che non trova né pace, né compimento. Ma raggiunge vette emotive che stimolano la ricerca e il confronto con la realtà che, anche “accerchiandoci”, il più delle volte ci lascia inermi ed indifferenti. E se la presunzione, ed il demerito, de La grande bellezza sta nell'assolutizzare in un ritratto deforme il mondo al di fuori di noi, la grandezza delle opere concorrenti sta nel proiettarci con forza nel mondo che sta dentro di noi. Film ed autori che, per una volta, ci fanno il raro dono dell'emozione necessaria a comprendere, non gli altri o il mondo ma noi stessi in quanto parte del mondo. L'Academy avrà valutato, gli sponsor usato le loro armi di seduzione, la stampa saputo essere al servizio, e la storia sicuramente ci avrà consegnato un nuovo premio Oscar. Sorrentino o meno, quello che resterà saranno i benefit per autori e produttori e qualche nuova villa sul litorale romano. Se ne andrà, invece solitaria, la speranza che il premio possa determinare un nuovo corso della cinematografia europea. Comunque sia andata, a voi il piacere di riscoprire Il sospetto, uscito in italia nel 2012, e di scoprire Alabama Monroe in uscita a fine marzo nel nostro paese. Per quanto riguarda gli altri due film in competizione, sarà difficile trovarli in qualche cinema italiano, a meno che l'ignuda statuetta dorata, per una volta, non possa più delle logiche di mercato. Staremo a vedere, questo si, senza alcun ipotesi premonitrice.


dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.20

giovedì 13 febbraio 2014

Bar Traumfabrik

E' cominciata l'avventura di Bar Traumfabrik, una radiotrasmissione di cinema e cazzeggio.
Ascoltateci su radiophonica.comcommentateci durante la diretta, sulla nostra pagina facebook.
Vi aspettiamo il venerdì sera dalle 20:00 in poi. Buon ascolto!


venerdì 24 gennaio 2014

The road to nowhere

Born to be wild... Scorro le #OscarNoms, i più social tra di voi mi capiranno, e con questo refrain in testa penso a Hopper, Fonda e Nicholson al galoppo sulla Road to nowhere (grande film del vecchio maestro Monte Hellman, ma questa è un'altra storia). Pensandoci mi accorgo che dal mio, parzialissimo, punto di vista il cinema nordamericano è soprattutto sulla strada. Fratello gemello del genere western, il road movie segna l'immaginazione collettiva con una sequenza d'immagini senza soluzione di continuità: da Lynch a Malick, passando per Hellman, Rafelson, Peckimpah, Coppola e Scorsese tutti, o quasi tutti, gli autori d'America hanno ceduto al fascino misterioso delle highway, del deserto, e delle grandi fughe. Amore a prima vista per me che porto il nome di Lázló Kovács, a doppio filo legato al cinema e alle fughe tanto al di qua che al di là dell'Atlantico. Tornando alle nomination agli Oscar di prossima consegna, le sei per Nebraska di Alexander Payne e le due di consolazione per Inside Llewin Davis dei fratelli Coen fanno eco alle critiche entusiastiche, ai premi e alle ovazioni che nel maggio scorso dal Festival di Cannes hanno raggiunto l'Italia. Una Palma d'Oro a Bruce Dern protagonista di Nebraska e il Gran Premio della Giuria al film dei Coen hanno contribuito a creare attesa e curiosità nei confronti di questi due ennesimi, grandissimi, american road movies in uscita nelle sale nel mese di febbraio. Ecco fatto dunque, il mio parere su Nebraska, film in sala in questi giorni e il parere di Andrea Mincigrucci (sempre lo stesso migrante dell'intelletto che ha la fortuna di vivere a Strasburgo) su Inside Llewin Davis, che da noi uscirà a fine mese.





NEBRASKA
Nebraska e il west secondo Payne. Regista e coscienza di un cinema che come pochi altri si bea di vizi e virtù dell’America republicandemocratica. On the road come ai tempi di Sideways, sta volta al trotto di una Subaru ci sono padre e figlio. Dal Monte Rushmore alle distese di mais del Nebraska, i cercatori d’oro al tempo della crisi ci guidano alla riscoperta dell’America e dei suoi pionieri, proiettandoci in un bianco e nero senza tempo, dove uomini e donne puzzano e si annoiano tra il chiacchiericcio e la birra, in attesa di una scazzottata al bar. Sarà la ricerca di un’improbabile fortuna, il mcguffin dal quale partire e attorno al quale riannodare i sentimenti e la storia della famiglia Grant. Il miglior lungometraggio di Alexander Payne, cinico e barocco come un film di Nicholas Ray, trova compiutezza nella fisicita segnata dal tempo di Bruce Dern, icona western che in sella al suo nuovo pick-up rende giustizia ed immortalità alla sventurata figura di Woody T. Grant. THE IMMAGINATION IS NOT A STATE: IT IS THE HUMAN EXISTENCE ITSELF (William Blake)



INSIDE LLEWIN DAVIS (A proposito di Davis)

C’è un tempo ciclico, che è quello della serie degli accordi delle canzoni folk. Dal Sol7 si torna al Do maggiore. Ma è un tempo ciclico con sfumature armoniche, suggestioni emozionali, sempre diverse, sempre dirompenti nella loro semplicità. Ed è semplice la storia di Llewin Devis (un superlativo Oscar Isaac), il cantante folk di origine gaeliche di cui i Coen ci raccontano la storia. Clichés e originalità, si perché c’è sempre una vita passata tra i divani di amici, la strada e i caffè di New York, c’è sempre la virata road movie erede del grande cinema americano, e le tasche sono sempre vuote. Ma stavolta insieme alla chitarra sotto braccio c’è un gatto, e una bohème di facciata che puzza di borghesia e che strizza l’occhio a velleità di star system, ci sono i rifiuti e le delusioni, e non c’è il lieto fine. E Llewin che continua a lottare anche contro cantori irlandesi e feroci cow boys, per guadagnarsi la sua vita con le sue canzonette di quattro accordi, dove dal Sol7 si torna al Do maggiore; ma quello che ci raccontano le sue canzoni, non c’era stato ancora raccontato, o almeno non così. Almeno per il sottoscritto, il capolavoro di Joel ed Ethan Coen. I’VE BEEN ALL AROUND THIS WORLD (Grateful Dead)


dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.19